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Il jazz di oggi? "Vecchio" e per pochi

    Persino il più venerato degli storici, l'inglese Hobsbawn si dichiara. Il jazz di oggi? Vecchio e per pochi, autore di "Il secolo breve" sulla storia del Novecento, ha voluto dire la sua a proposito del tema che rimbalza nelle discussioni tra critici musicali di mezzo mondo: la presunta morte del jazz. In altri articoli apparsi su giornali stranieri, Hobsbawn ha osservato impietosamente che "Il jazz degli anni Novanta guarda indietro; i nomi che attraggono il pubblico nei festival sono quelli degli anni Sessanta".
Tutti si dichiarano boppers: le innovazioni, dal free-jazz alla fusion sono state silenziosamente emarginate. Perfino gli adoratori di Miles Davis preferiscono non pronunciarsi sull'ultimo decennio della sua attività.
Il pubblico mondiale del jazz è troppo scarso e costituito dalla media borghesia di mezza età, per lo più bianca, questo sempre per Hobsbawn. Per una conferma basta andare ai festival italiani, per esempio nel più famoso di questi, Umbria Jazz, dove fino a pochi anni fa il pubblico era costituito da giovani squattrinati e arrabbiati, oggi da benestanti quaranta-cinquantenni. Potrà tornare il jazz a essere accessibile al suo pubblico naturale, i giovani poveri, come succedeva mezzo secolo fa? - si chiede Hobsbawn.
Lo stesso Hobsbawn prevede una grande potenzialità di sopravvivenza e di autorinnovamento per il jazz, anche in questa società che non è preparata per questa musica e non la merita.